La libertà fra etica e mercato: un’altra immagine di Lincoln
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LUGLIO
2017
dal “Messaggero Veneto”.
Lo storico Tiziano Bonazzi finalista al premio Friuli Storia con una biografia Il racconto degli States attraverso la figura del presidente che abolí la schiavitú
di VALERIO MARCHI
Lo storico Valerio Marchi inaugura con questa intervista-recensione, la pagina “Un libro per l’estate”. La proposta è una biografia di Abramo Lincoln scritta dal professor Tiziano Bonazzi, finalista al premio Friuli Storia che sarà assegnato a settembre a Udine.
di VALERIO MARCHI
«La più comica delle nostre figure che diventa la nostra suprema figura tragica»: così lo storico Dumas Malone si riferì a Lincoln. Possiamo considerare questa frase, riportata nella sua prefazione, una sorta di incipit?
«Sì. L’aspetto di Lincoln era comico: altissimo, magrissimo, sgraziato, con i vestiti che gli cadevano da ogni parte e una tuba che lo portava oltre i due metri… Ma è stata tragica la sua fine, dopo aver guidato il suo Paese nella sanguinosissima Guerra civile, sempre con l’intima e disperata sensazione, frutto della rigida educazione calvinista, dell’assenza di libertà nell’azione degli uomini. Una sensazione che lo portò vicinissimo al suicidio».
Lei ha dichiarato che la vera prima pagina del libro, e anche la sua conclusione, è la copertina. In che senso?
«Quella foto di Lincoln, scattata una settimana prima del suo assassinio, lo mostra non ancora sessantenne, ma distrutto dal peso enorme che ha dovuto reggere e con uno sguardo liquido, come perduto. Eppure, rimane un accenno di sorriso ironico sulle labbra strette che mi pare la cifra vera del personaggio».
Fa parte dell’ironia anche ribadire che la storia non può più essere usata come guida nel presente attraverso il passato?
«Con la fine delle filosofie della storia, la storia rimane magistra per giungere a una comprensione ironica di ciò che siamo e facciamo. Ironica, simpatetica verso i nostri simili, umile nella comprensione della nostra scarsissima capacità di dominare gli eventi e dell’imperativo etico a trovare comunque la nostra strada. In questo Lincoln è esemplare».
È frutto dell’ironia di Lincoln anche quella definizione degli americani come “popolo quasi scelto” (“an almost chosen people”) da Dio?
«Certo, con quel “quasi” che smonta ogni estremismo nazionalistico-religioso figlio dell’idea, propria di tanti americani, di essere un “popolo scelto da Dio” attraverso Cristo. Per Lincoln nessuno può conoscere davvero la volontà di Dio, anche se tutti dobbiamo provare a coglierne almeno un barlume. Ed è questa, ancora, la fatica drammatica del personaggio».
Ma che cosa conosciamo di Lincoln in Italia? E quale ritiene che sia il primo aspetto da valutare per comprendere meglio lui e la storia che in lui si è incarnata?
«Da noi, la storia statunitense è segnata da rigidi e superficiali stereotipi di vario segno. Con Lincoln si va poco oltre al liberatore degli schiavi: in realtà, pur non amando la schiavitù, non era un antischiavista. L’abolizione è l’esito di un percorso personale e generale ben più complicato di quanto si creda, di cui ho inteso mostrare la complicata conflittualità, i continui tentativi di risolvere le tante insorgenti contraddizioni culturali, politiche ed economiche».
E come si spiega la scelta della guerra?
«Lincoln intendeva anzitutto preservare l’unità degli Stati Uniti. Capì, peraltro, che non sarebbe bastata la vittoria militare, che occorreva uno scopo più alto per rivendicare il valore fondativo profondo: la libertà. Quindi la fine della schiavitù. E passò da una generica ostilità alla schiavitù a un sempre più chiaro senso etico ed economico del fatto che l’unico lavoro economicamente utile fosse quello libero: un’idea a base religiosa, ma legata al trionfo di un’economia di mercato retta dal contratto fra parti consenzienti».
Come valuta il “Lincoln” di Spielberg?
«Bello, storicamente corretto, efficace nel rendere filmicamente anche aspetti lontani dalla normale canonizzazione di Lincoln, a esempio l’opera di sottogoverno e corruzione di membri del Congresso per votare l’emendamento che abolì la schiavitù».
Lincoln, nella ricostruzione mitica, è diventato una sorta di alter Christus…
«In realtà Lincoln, che di Cristo non parlava mai, ha avuto con la religione un rapporto assai tormentato, e come tale l’ho descritto. Naturalmente, poi, occorre considerare l’intensa vita religiosa degli americani e ciò che ho già detto circa la nozione comune (tutt’altro che morta) della nazione scelta da Dio per una missione. Ma forse Lincoln ripeterebbe: “quasi scelta”».