Bill uccise di tutto indiani e bisonti e fu una vera star
28
LUGLIO
2017
dal “Messaggero Veneto”.
La storia di Cody detto “Buffalo” nel libro di Gaspa Impersonò se stesso a teatro per un decennio
di VALERIO MARCHI
«Una vera star multimediale. Forse la prima in assoluto»: questa una delle descrizioni offerte da Pier Luigi Gaspa, che racconta con perizia e passione una figura tra le più intriganti e discusse della storia americana: William Frederick Cody, nato nel 1846 nell’Iowa, per tutti Buffalo Bill.
Cavaliere del Pony Express, tiratore abilissimo, guida di carovane e dell’esercito americano (ma, con il passare degli anni, anche guida turistica), guerrigliero, eroe nella Guerra di secessione, esploratore di Custer nel 7° Cavalleria, Medaglia d’onore del Congresso, deputato del Nebraska e quant’altro, Cody accumulò una fama impastata di verità storica e mito.
Dovette tuttavia la sua popolarità soprattutto all’uccisione di migliaia di bisonti (da qui il soprannome: con “buffalo”, infatti, si intende il bisonte) richiesti per sfamare le schiere di operai che lavoravano alla ferrovia dal Kansas al Pacifico. Cody fu assai celebrato anche come «uccisore di indiani», per la verità. Salvo, decenni dopo, aderire alla campagna di salvaguardia del bisonte e ingaggiare numerosi indiani (fra cui persino Toro Seduto!) nel suo fantasmagorico “Wild West Show”, prototipo dell’industria dell’intrattenimento.
Dopo avere impersonato se stesso in teatro per oltre un decennio, dal 1883 Buffalo Bill fu infatti al centro di una sorprendente macchina da spettacolo; egli stesso, peraltro, ebbe un senso dell’autopromozione da fare invidia a più di un professionista del marketing odierno. L’impatto sul pubblico, preparato da un sapiente e capillare uso della tecnologia e degli strumenti mediatici dell’epoca, segnò profondamente l’immagine dell’Ovest americano, accentuando sia la diffusione della cultura di massa sia il fascino dell’American way of life nel nostro continente.
Lo show, che pretendeva di essere uno strumento di sviluppo e civilizzazione, mescolava storia e fantasia avvalendosi di un eccellente staff tecnico, con attrezzisti, assistenti di scena, truccatori e persino un celebre Art director. Così, in un quarto di secolo attirò circa 17 milioni di spettatori tra Stati Uniti ed Europa. Nel 1906 toccò anche Udine e Trieste, riscuotendo uno straordinario successo di pubblico.
«Eh sì, è proprio nato per dare spettacolo… Nessun uomo comune avrebbe intuito quali immensi guadagni si potevano fare raccontando un sacco di balle davanti a una platea di testimoni paganti: sì, Bill Cody può contare solo sul suo intuito. E quando il suo intuito verrà meno, allora forse vedrà come stanno veramente le cose»: è questa la sentenza che, nel film “Buffalo Bill e gli indiani” (1976), Robert Altman fa pronunciare allo scrittore e giornalista Ned Buntline, grande promotore del trionfo mediatico del leggendario uomo della frontiera.
Cody, in effetti, terminò la sua carriera sempre più vittima della propria immagine, dell’immensa notorietà e delle fortune che, regolarmente, sperperava. Anche la sua vita famigliare fu intensa ma tormentata, e la fine lo colse stanco, malato, triste, pieno di debiti. Morì cent’anni fa, nel gennaio 1917, ma il suo mito non è scomparso: rivisitandolo, possiamo goderci un’avvincente biografia intrecciata con pezzi fondamentali della Grande storia.
Il libro di Gaspa ci riesce bene, attraversando nuclei tematici quali l’epopea della frontiera e il mito del cosiddetto “Destino manifesto” statunitense; la Guerra civile e lo schiavismo; la corsa all’Ovest e quella all’oro; le nuove vie e i nuovi mezzi di comunicazione; le guerre indiane e lo sterminio dei bisonti; il genere western con le sue epopee editoriali e filmiche; le vicende e le leggende del protagonista; i suoi viaggi in Italia e i suoi incontri con illustri personaggi, anche europei: dall’arciduca Alessio di Russia alla regina Vittoria e altre teste coronate, da capi di Stato e di governo a scrittori e artisti come Salgari e Puccini. Senza farsi mancare un papa: Leone XIII.