Barbero: «In quella disfatta i difetti dell’Italia di sempre»
18
OTTOBRE
2017
dal “Messaggero Veneto”.
Esce per Laterza il libro “definitivo”: ci furono improvvisazione e scarsa competenza A Gaspari il merito di avere dimostrato, fonti alla mano, che gli italiani non furono vili
di VALERIO MARCHI
Alessandro Barbero insegna Storia medievale a Vercelli, all’università del Piemonte Orientale. Autore di romanzi e saggi storici, ha spaziato da Costantino a Carlo Magno, ai Savoia, e poi Adianopoli, Lepanto, Waterloo… A Udine l’anno scorso ha parlato del suo libro “Le parole del papa. Da Gregorio VII a Francesco”. Da domani sarà in libreria con “Caporetto” edito da Laterza, (646 pagine).
Professore, domani uscirà il suo “Caporetto”, non solo un volume di sintesi, immagino.
«È un libro tutto analitico e di ricerca, fondato principalmente sulla memorialistica e su un’ampia documentazione dell’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito».
Qual è stato il suo primo obiettivo?
«Ho considerato Caporetto affrontando la specifica complessità della documentazione e dell’avvenimento, ma ho anche voluto studiare che cosa fosse una battaglia della Prima guerra mondiale seguendone la fase decisionale, la pianificazione (complicatissima) dell’azione, il vissuto delle centinaia di migliaia di partecipanti… Vorrei che il lettore capisse che evento incredibilmente complesso e sfaccettato sia una battaglia».
Caporetto comunque non è una battaglia come le altre…
«È in qualche modo lo specchio dell’Italia di allora e anche un po’ di quella di sempre, con molte caratteristiche dell’Italia peggiore: l’improvvisazione, la scarsa competenza, la retorica vuota della classe dirigente e il suo scollamento dal Paese… Un Paese con professionalità e cultura scientifica insufficienti, come dimostrò proprio l’esercito».
I tedeschi erano un’altra cosa? E gli austroungarici?
«Gli austroungarici erano più o meno al nostro livello, esprimevano una realtà sostanzialmente arretrata, con forti differenze sociali fra gli ufficiali e la truppa: con loro – diciamo così – ce la siamo giocata alla pari. Gli ufficiali tedeschi, invece, mangiavano lo stesso rancio dei soldati ed erano veri professionisti del miglior esercito mondo».
Ma che cosa pensavano i tedeschi degli austriaci?
«Le testimonianze soggettive mostrano atteggiamenti e giudizi feroci e sgradevoli: li ritenevano balcanici primitivi, ignari dell’arte della guerra e anche pasticcioni, un po’ come gli italiani… Quando poi gli austriaci, nell’estate del 1917, chiesero aiuto ai tedeschi, lo ottennero a fatica, e solo perché i tedeschi li videro disperati. Dissero, sostanzialmente: «Se proprio ce lo chiedete…».
E gli austriaci che cosa pensavano dei tedeschi? E di noi?
«Reputavano insopportabili i tedeschi, li detestavano. E detestavano anche noi, considerandoci traditori e invasori (invasori lo eravamo, a Caporetto, e non ci facemmo ben volere…). L’elemento tedesco e quello slavo erano concordi sull’avversione agli italiani».
In Friuli, Paolo Gaspari si è prodigato per dimostrare che le nostre prime linee non furono né codarde né remissive.
«Gaspari e alcuni suoi autori hanno fatto un lavoro straordinario, rivoluzionando la conoscenza degli avvenimenti e dando un grande contributo circa l’uso delle fonti d’archivio. Rimango convinto che non abbiamo perso solo perché gli avversari erano tecnicamente superiori; infatti, per una serie di motivi, anche comprensibili, gli italiani combatterono, ma mollarono abbastanza presto. Ciò non toglie che quella degli italiani fuggitivi e vigliacchi sia solo una leggenda».
Cadorna, Capello, Badoglio… chi fu il più colpevole?
«Senza intervenire in questa discussione che impazza da un secolo, va detto che erano uomini di valore, non i primi venuti. Erano ciò che poteva esprimere il nostro Paese, con tutti i suoi limiti. Di certo, ognuno di loro ha sottovalutato la gravità della situazione».
Caporetto ha inciso sull’affermazione del fascismo?
«Dopo Caporetto si diffuse fra i militari l’idea che fosse colpa dei politici parolai, della classe dirigente liberale che non sapeva tenere a freno i “rossi”. Per alcuni, addirittura, l’Italia avrebbe avuto bisogno – si disse già così – di un po’ di bastone e olio di ricino: come minimo, un triste presagio. Ma il discorso è evidentemente più complesso».
Ha visitato
i siti di cui ha scritto?
«Sì, più di una volta tutta la zona di Caporetto, la conca di Plezzo, il Colovrat, le colline di Santa Lucia… Luoghi bellissimi, resi molto struggenti dal ricordo. Conoscerli è stato importante per scrivere il libro».