Udine e i moti del 1848, quel sogno di libertà infranto dagli austriaci
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LUGLIO
2016
dal “Messaggero Veneto”.
Il 23 marzo il podestà Dragoni forma il Governo Provvisorio. Il popolo è insorto, ma il 22 aprile ritornerà l’occupante
di VALERIO MARCHI
UDINE. Italia, gennaio 1848: Palermo insorge e Ferdinando II di Borbone concede una Costituzione nel Regno delle Due Sicilie. Lo seguiranno Carlo Alberto in Piemonte, Leopoldo II in Toscana, Pio IX nello Stato Pontificio.
Il centro d’irradiazione europeo è la Francia, ma sono soprattutto i moti di marzo a Vienna, Milano e Venezia (dove il 22 Daniele Manin proclama la Repubblica Veneta di San Marco) a galvanizzare i friulani.
Negli stessi giorni si sollevano Berlino, capitale della Prussia, e Budapest; i moti ungheresi risaltano per il forte carattere autonomistico e anche Praga, in Boemia, rivendica l’autonomia (proprio lí, però, inizierà la riscossa imperiale).
Il 23 marzo la folla si riversa nel centro di Udine con coccarde e tricolori, ma già da giorni in Friuli si festeggia. Gli austriaci cedono e se ne vanno.
Presieduto dal podestà Antonio Caimo Dragoni, si costituisce un Governo provvisorio della Provincia (in cui emergono figure quali Prospero Antonini e Mario Luzzatto) che ottiene dal nemico la consegna di Palmanova e di Osoppo.
Nasce la Guardia civica, molti si arruolano. Ai parroci si chiede di cooperare con la predicazione.
Il nuovo governo, votata l’annessione alla Repubblica Veneta «sulla base di una perfetta eguaglianza di diritti e di doveri», assume a fine marzo il nome di Comitato provvisorio del Friuli, e mentre tutta l’area di Venezia si libera (salvo Verona, dove gli asburgici si arroccano), tra fine marzo e inizio aprile si formano a Udine anche comitati di guerra e d’ordine pubblico.
La stampa è finalmente affrancata: al Giornale Politico del Friuli, attivo dal 27 marzo al 17 aprile e sede di comunicati, cronache e dibattiti, collaborano fra gli altri illustri letterati, da Teobaldo Ciconi a Francesco Dall’Ongaro, da Arnaldo Fusinato a Pietro Zorutti.
Il tempo è scarso, i mezzi anche. L’audacia non manca, ma l’aiuto di Venezia è carente, né giungono contributi decisivi dai Savoia. Dopo la metà di aprile gli austriaci tornano e iniziano a cannoneggiare alle porte della città il 21 sera, un tragico venerdí santo.
Il 17 Udine aveva rifiutato di arrendersi, ma il 22, vista inutile ogni resistenza, si piega allo strapotere nemico e, con la mediazione dell’arcivescovo Zaccaria Bricito, tratta la resa, divulgata il giorno dopo, una dolente domenica delle Palme.
Non tutti nel popolo e nel Comitato provvisorio approvano la capitolazione, e non mancano le polemiche. Comunque sia, dopo soltanto un mese il tripudio si volge in nuova servitú.
La resa provoca reazioni sdegnate di personalità celebri: Gustavo Modena, Carlo Cattaneo, Giosuè Carducci… Tuttavia, le accuse di viltà saranno ridimensionate non solo dal Governo di Venezia e da Luigi Duodo (che aveva comandato la difesa), ma anche da altre ricostruzioni dei fatti, a partire da quella di Raffaello Sbuelz, dal titolo “La pusillanimità (?) dei magistrati udinesi nel 1848. Note, ricerche storiche e documento inedito” (1899). Di sicuro, la città non aveva potuto disporre né di mezzi economici e di difesa sufficienti, né di adeguate fortificazioni.
Gli austriaci riprendono poi altri baluardi, quali Pontebba (a fine aprile), Palmanova (a fine giugno) e Osoppo, la cui lunga e tenace opposizione di sette mesi è uno degli episodi piú gloriosi, con cui termina la resistenza in Friuli.
La Legione friulana combatterà, tuttavia, ancora a Venezia, ultima roccaforte sino all’agosto 1849.
La Prima guerra d’indipendenza si chiuse nel marzo 1849 con la sconfitta di Novara e il rientro austriaco a Milano, ma sotto le ceneri covava la brace.
Dal canto suo, la società friulana ne uscí profondamente mutata
e, per la prima volta, si era avuta un’insurrezione davvero popolare, una guerra condotta con eserciti nazionali e schiere di volontari, fra lotte e resistenze epiche, assaggiando la vita libera. Le sconfitte non potevano soffocare tutti i semi piantati.